Carassi a ledgering

Siamo in primavera. E’ un dato di fatto incontrovertibile. Marzo è stato davvero duro: freddo, pioggia, vento impossibile hanno reso impossibile l’approccio alle acque dolci. Il mese attualmente in corso, Aprile, pare essere meno “pazzerello” infatti, pian piano, tutto inizia a svegliarsi. Il sole riscalda la terra e l’acqua, l’erba prolifera lungo le sponde di laghi e fiumi, mentre i pesci escono dal letargo durato mesi. In questo contesto nasce la necessità di affrontare le acque interne, sempre più pescose e rigogliose in Puglia e Basilicata. Le piogge dei mesi scorsi hanno accresciuto il livello idrico fino a colmare gli invasi: le sponde sono un po’ difficili da raggiungere ma l’abbondanza di acqua non scoraggia i ciprinidi, avvicinandoli a riva alla ricerca di cibo. Sebbene la tendenza è quella di allontanarsi dalle fosse più profonde, il pesce è ancora timido e rimane a distanza, preferendo abitudini stanziali, restandovi ancorato sul fondo. Il ledgering assolve completamente la sua funzione perché propone un boccone prelibato direttamente sul fondo, senza che i pesci cambino le proprie abitudini alimentari. E’ proprio da qui, dal feeder fishing, che vorremmo iniziare la nuova stagione di pesca in acque dolci per il 2013; proporremo, infatti, un pezzo molto lineare volto alla divulgazione della pesca con il pasturatore (ledgering o feeder fishing).



Prepariamo la pastura

Il principio è la pastura. Senza di essa non esisterebbe la pesca a ledgering con il cage feeder (pasturatore a gabbietta) perché non l’avrebbero sicuramente inventato. Una volta sistemate le attrezzature lungo la nostra postazione, partiamo con la realizzazione di una pastura da ledgering. In commercio esistono diverse soluzioni specifiche con marchi specializzati ( es. Trabucco Ultimate Feeder ). Per fare un po’ di pratica potrebbe andar bene una classica pastura da carpa di colore giallo, allungata con del pastoncino giallo e una spruzzata di farina di mais (effetto disgregante). Versiamo l’intero contenuto della busta, aggiungiamo - eventualmente – altri ingredienti e bagniamo il tutto con un po’ di acqua. Mescoliamo con la mano destra o sinistra, senza avere timore di sporcarci. Effettuiamo l’operazione sino a quando non otterremo una pastura compatta ma friabile.

Differenza tra pasture e pasture da feeder

La differenza tra uno sfarinato classico da pesca al colpo e uno da feeder fishing è nella collosità finale. Spieghiamoci meglio… Una palla di pastura per la pesca all’inglese deve essere lanciata a distanza e affondare, liberando il suo potenziale attrattivo. La pastura per un cage feeder viaggia con il pasturatore stesso e deve esplodere al contatto con l’acqua, formando un tappeto di pastura in pochi minuti. Ne va che la pastura da feeder dovrà sfaldarsi più velocemente, mantenendo comunque un’ottima consistenza per evitare che scoppi durante il lancio.



Come realizzare la lenza per la pesca a ledgering

In passato abbiamo trattato lenze basilari per il ledgering che prevedevano l’ausilio di girella, gommino parastrappi e anti-tangle. Stavolta cambiamo musica! Senza nulla togliere all’anti-tangle (che io stesso preferisco con grossi pasturatori e pesci molto affamati), negli ultimi due anni ho sperimentato con successo l’utilizzo del powergum durante uscite di pesca sui laghi appulo-lucani. Inizialmente credevo che non ce ne fosse realmente bisogno, dato che il pesce pareva poco incline a mangiare “di fino”. Tuttavia, dopo alcuni strani risultati poco favorevoli, sono sceso di calibro montando il powergum su una canna da 3,60 ad azione morbida, una Trabucco Anthrax Match Feeder. Il powergum è un giusto compromesso tra sistema anti-groviglio e intermezzo utile per avvertire le abboccate, anche le più dolci. Il modello in figura è un Middy, montato con il sistema dell’ Helicopter (attenzione – non stiamo parlando di helicopter rig!). Lungo il trave passeremo un fermafilo seguito da una perlina. Continuiamo mettendoci il pasturatore, connesso da un clip scorrevole. Chiudiamo la lenza con una successiva perlina legata all’estremità dell’anti-tangle. Il terminale dovrà essere non più lungo di 30/40 cm e sarà armato con un amo n°8/10 a gambo corto.



Inneschiamo il lombrico

L’esca è conseguenziale alla preparazione della pastura. Passeremo in rassegna sia il lombrico, sia il bigattino. Il lombrico è il principe delle situazioni difficili. Le acque fredde del Locone o del Monte Cotugno rendono obbligatorio questo passo. Innescheremo il lombrico, come indicato in figura, su ami a gambo corto, permettendo una migliore presentazione dell’esca. Possiamo reperire il lombrico in due modi distinti. Il primo richiede un po’ di tempo libero in campagna, lungo zone semi umide (pali, radici, sotto le pietre); l’alternativa è la ricerca del lombrico direttamente sul lago attraverso una piccola pala che scava nel fango. Ovviamente, per chi ha a disposizione un negoziante fornito di vermi (rarissimi in Puglia) c’è la soluzione più scontata ovvero comprarli! L’innesco è semplice: prendiamo il lombrico con indice e pollice, passiamolo a metà e lasciamo uscire una piccola fetta d’amo. Possiamo anche chiudere l’innesco con un bigattino, rendendolo più appetitoso.



Carichiamo il cage feeder

Ho pensato ad un’illustrazione anche per il cage feeder. Ne esistono tanti e c’è l’imbarazzo della scelta. I modelli con gabbie aperte in materiale metallico vanno impiegati per fondali bassi e velocità di scioglimento elevate. Vi sono anche pasturatori con gabbietta plastica e fori più piccoli, indicati per fondali medio-alti e lente velocità di scioglimento. Passiamo il pasturatore nella bacinella pressandolo sia nella fessura superiore che anteriore. L’operazione è semplice e non c’è da aggiungere altro.



Il bigattino: alternativa al lombrico

Se le acque sono tiepide e le giornate sono ricche di sole, vale la pena tentare con il bigattino. L’esca è molto gradita ai carassi di tutte le taglie e permette di fare un po’ di selezione rispetto al mais, più indicato per la ricerca delle carpe primaverili. Innescheremo i bigattini formando un boccone succulento che colpirà direttamente l’ingordigia. Le larve vanno posizionate a calzetta e bandiera su ami del n° 12/14/16 a gambo corto, ottenendo il risultato simile a quello mostrato nell’illustrazione.



Si pesca!

Ciak, azione! Finalmente siamo seduti sul panchetto e attendiamo fiduciosi il momento di gloria. Appoggiamo la canna lungo un apposito sostegno, mantenendo la cima bassa in caso di assenza di vento (alta in presenza di vento). Prima di partire consiglio di fare tre o quattro lanci a vuoto, senza esca, col pasturatore carico. Formeremo così quel tappeto di pastura di cui avevamo parlato poc’anzi. Inneschiamo, lanciamo e speriamo. La tocca del carassio è molto diversa da quella della carpa. Il carassio pilucca, mangiucchia e si ferma. La nostra ferrata cade sulla tocca più forte, determinata dall’allontanarsi del pesce verso il largo. Recupereremo il carassio con cautela, evitando la concessione di troppo filo durante le fasi terminali della cattura. Sfortunatamente i carassi hanno l’abitudine di cercare riparo tra ostacoli sommersi prima di cadere nel guadino. Nelle condizioni attuali, gli invasi appulo-lucani offrono davvero tanti appigli e le perdite di pesce potrebbero essere alte. E’ bene partire a canna bassa, di lato, per completare con l’attrezzo puntato verso l’alto, assicurandoci la vittoria contro un pesce simpatico e innocuo, che amo profondamente.

Marco de Biase

Marco de Biase

Direttore di Pescanet e di Pescare in Trentino. Classe 1983, vive da diversi anni nel Nord Italia occupandosi di marketing digitale. Dopo una lunga esperienza nelle acque pugliesi dell'Adriatico, frequenta da tempo gli spot del Trentino, Veneto e Lombardia. È un pescatore umile, sempre disposto a documentarsi e amante delle sfide. Comunica attraverso la scrittura, la fotografia e i social network seguiti da più di ventimila followers. È inoltre autore di due romanzi d'amore e pesca, oltre ad essere poliedrico collaboratore di riviste cartacee, aziende e blog di settore.

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