Carpe con i ceci
Sicuramente molti di voi storceranno il naso a questo titolo. Altri invece sorrideranno perché conoscono già questo metodo di pesce. La mission del mio articolo è quella di diffondere questa tecnica che utilizza i legumi, perché dalle mie parti al Sud Italia, non ha avuto lo spazio che merita. Sfortunatamente è poco praticata dai pescasportivi locali, vuoi per ignoranza, vuoi per parassitismo. Solitamente vedevo catturare carpe di discrete dimensioni con il classico lombrico, specie nel periodo invernale, poi col mais, esca principe in ogni occasione, ed infine col cagnotto. C’era quindi una smisurata voglia di scoprire, di tentare, di ragionare. Perché non con i ceci? E magari, con un bell’innesco simile a quello di una ciliegina con un contorno di bigattini? Una specie di bistecca (i bighi) ed insalata (i ceci) per i nostri pinnuti? Si, detto e fatto. La giornata mi si presenta ventosa, con le sponde del lago abbastanza rigogliose, segno di una primavera che è già matura nell’aria ed in terra. Scorgo qualche bollata, cosa sarà mai? Qualche carpa superficiale? Black bass in attività? Molto emozionato già da questo esordio promettente del Lago Locone, presso Montemilone in provincia di Potenza, apro le mie due Tubertini Omega Feeder da 120 grammi, nelle misure di 3,60/3,90 metri, armate di due muli da soma, gli Shimano Nexave 2500 e 4000. Tenterò il colpaccio pescando a ledgering, con due bei cage feeder da 40 grammi di produzione artigianale, che assieme al pallozzone di pastura arrivano sicuramente a 70/80 grammi, terminali dello 0,15 in fluorocarbon, rigorosamente TD Brave Daiwa ed infine, amo speciale, da “cozza” per l’orata, convertito in “pungiglione per ceci”, in versione carp-fishing. Un bel mix, come piace ad un vero macina-carpe pugliese.Aperte le canne, posizionato il treppiede, sganciate le frizioni, cominciamo ad inserire questo “cecio”. Ho acquistato una bella confezione a poco meno di 50 centesimi dall’Ipercoop. Mi pare che abbia concluso un affare. Scelgo accuratamente quelli di taglia più piccola, maggiormente compatti e duraturi sull’amo, per via delle sollecitazioni durante il lancio. Lo appoggio sull’ardiglione, poi delicatamente spinto verso il basso, facendo seguire la curvatura dell’amo, ed infine, a “cecio” innescato, un contorno di bigattini, come in foto.
I chicchi più grossi li dedico alla pastura, dove la mia prelibatezza è già colma di pastoncino giallo, mais e bigattini. Evito di prepararla molto melmosa, occorre una consistenza tale da arrivare sul fondo all’impatto con l’acqua, dato che essa principalmente sarà usata per confezionare pallettoni da spalmare all’interno della gabbietta del feeder. A piccoli passi, bicchiere dopo bicchiere, raggiunge la compattezza prevista, direi quindi che l’impasto è buono per essere utilizzato. Consiglio a tutti di non aver paura di sporcarsi le mani, le pasture da acque interne mantengono un buon odore, sono totalmente diverse da quelle alla sarda che, da vecchio lupo di mare, credo di conoscere molto bene. Passiamo all’azione di pesca: lancio a circa 40/50 metri dalla mia postazione, c’è vento, quindi mi obbliga ad utilizzare un tripode dove appoggiare le mie due canne, con un’angolazione di circa 45° dalla superficie dell’acqua. In questo modo noto che il filo rimane teso, potendo quindi segnalare anche l’abboccata più sospettosa. Poi, l’attesa.
Ad un certo punto, così come un fulmine a ciel sereno, ecco il muoversi del vettino! Ferro con una bella mossa laterale, sento subito che si tratta di un pesce modesto, ma non importa. Tiro, combatto ed ecco arrivare dinanzi a me una bella carpotta, molto sgargiante. E via, nella nassa. Il “cecio avrà funzionato?” ci domandiamo. Continuo a preparare gli inneschi come il primo, sempre col cece sull’amo, proprio per tentare ed avere conferma della mia teoria, cioè che anche in Puglia funziona. Dopo aver lanciato la canna del misfatto, ecco che sulla sorella più potente, lanciata in direzione della diga, noto uno strattone. “Questa mi sa che è bella, non posso lasciarmela scappare” penso per un attimo. Poi do’ il bel colpo. Ha un comportamento un po’ strano, non è molto forzuta, però si muove con agilità, non puntando verso il fondo.
Penso subito ad un cavedano, ma vengo subito smentito dalla sua forma simile ad un carassio, di colorazione leggermente dorata: una scardola! Era un bel po’ di tempo che non ne beccavo una! Simpatica, sempre pronta a spruzzarmi il suo liquido verdastro sui pantaloni. La scardola viene poi riposta anch’essa nella nassa, per far compagnia alla sua cugina carpa. “Anche lei al cecio, saranno proprio buoni!” penso per un attimo, sempre confidente che questo legume non tradisce nella mia zona. Si succedono altre catture, segno che la tecnica funziona, quindi con una preventiva pasturazione nel cage feeder i pesci penso che siano abituati a gustarlo, pertanto invito a provare. Sicuramente, un terminale corto, di massimo 40/50 cm è l’ideale, per non allontanare troppo dalla chiazza di pastura (che conterrà anche qualche cece) il nostro innesco. Quanto agli ami la mia scelta si è basata sulla comodità di innesco, ma credo che l’importante sia confezionare un boccone appetibile per tutte le specie di pesci. Un 6315 gamakatsu, ormai un classico della storia della pesca, nella misura di un 12 è quanto meglio si possa utilizzare per preparare l’inganno. Magari, se rinforzato da una copertura al nickel, è sempre meglio. Specie in queste dighe artificiali, infatti, in primavera il livello idrico sale, coprendo tutta la vegetazione apparsa nei mesi precedenti quando l’acqua era bassa. Spessissimo si incaglia, arrivando a strappare rami di piantine sommerse e, se si hanno ami di scarsa fattura, è facilissimo trovarli rotti o tranciati.