Pesca in buca con la teleregolabile
Ho imparato a pescare col dito. Non sembrerebbe un bell’esordio per un articolo di pesca in mare, ma vi assicuro che corrisponde alla pura verità. Correva l’estate del 1990 quando cadde in trappola la mia prima preda, pescata col... “Dito”. Avevo solo 7 anni, la pesca mi affascinava perchè avvertivo una strana attrazione nel vederla praticata dai garisti lungo la scogliera della mia città. Mio padre non credeva ancora in me al punto da comprarmi una canna da pesca ed infatti un giorno, capitando presso un maxi-store di articoli sportivi per puro caso, dopo tante pressioni, in carrello finirono una bobina di dacron, cinque piombini da 30 grammi a forma di campana ed alcuni ami già legati. “Papà ti insegnerà a pescare” disse. Decisi di affidare fiduciosamente le mie speranze alle sue conoscenze in materia. Giorni dopo mi ritrovai in spiaggia, con l’acqua fino all’ombelico e questo filo in mano con una lenza rudimentale. Mio padre lanciò il piombo a meno di dieci metri da noi, quasi fosse John Wayne e, col filo teso, iniziò a pescare. Alla prima tocca ferrò... Col dito. Un ghiozzo, e chi se lo dimentica più! Ci provai anch’io e non mancai il bersaglio. Uno sciarrano. E fu così che, in quella mattina di fine luglio, collezionai 23 pesciotti, un numero indimenticabile che segnò la mia prima pescata in assoluto e soprattutto il resto della mia vita fino ad oggi. Questa è la storia anticonvenzionale che non mai raccontato neppure sul nostro Pescanet perché, effettivamente, la canna da pesca la presi in mano tre anni più tardi, nel 1993 all’alba dei dieci anni. Cosa c’entra questo excursus storico delle mie esperienze di pesca? Una ragione c’è e va ricercata nel mio primo approccio alla pesca in mare. Al giorno d’oggi c’è internet, siamo tutti tecnologici al punto da “Dimmi che canna hai e ti dirò che pescatore sei”. Anni fa si imparava a pescare dagli anziani, cogliendo ciò che di buono potevano insegnarci e riproponendolo poi, magari affinando di volta in volta la tecnica. Oggi c’è youtube. In passato per pescare in buca c’era il dito, la mano, il filo, il piombo, l’amo, il coreano. C’era il dito, il magico dito. Oggi invece, c’è la teleregolabile.
Pesca in buca con la teleregolabile
Questa canna, sconosciuta a molti pescatori d’acqua salata, prende parte alle proposte specialistiche per la trota torrente e, di recente, alcuni campioni dalla mente sveglia, hanno deciso di impiegarla per le competizioni in mare, per pescare, appunto, nelle buche della scogliera. Spesso arrivarci con la canna ed il mulinello è un problema. Ne servirebbero almeno tre, una corta per il sottoriva, una media tra gli scogli ed una lunga per le buche più distanti. Cosa c’entra il dito? Per entrare in buca occorre far lavorare la canna come il nostro dito, col filo in mano che avverte le timide tocche ed il mulinello a riposo, pronto ad intervenire su necessità. Piccoli movimenti, leggeri e gentili, apparenti recuperi misti a ferrate istantanee e tanta voglia di ritorno alle origini con prede poco pregiate, ma degne di uno scatto per i colori davvero ammalianti.
Cos'è una canna teleregolabile?
Vediamo meglio cos’è questa fantomatica teleregolabile. Innanzitutto parliamo della sua struttura. Trattasi di canne tra i 7 ed i 13 metri, con azione molto rigida e dalle se zioni regolabili mediante apposite boccole interne e blocchi esterni. La canna in esame quest’oggi è un modello di 8 metri specifico per la trota torrente. Possiede una lunga cima in carbonio con due anelli scorrevoli, un sottovetta senza blocco e 3 pezzi fermati da boccole termo restringenti. Queste hanno la funzione di permettere l’apertura e chiusura della canna in più lunghezze senza che la stessa soffra le sollecitazioni dell’azione e dell’eventuale pesce incannato. Gli anelli sono a gambo corto, i primi a doppio ponte e gli altri a ponte singolo. Lungo la serigrafia è anche possibile scorgere un centimetro che indica la dimensione del pesce, utile per le trote e gradito anche per il mare visto che, anche se non tutti lo sanno, la “misura minima”, specie per i pesci pregiati, esiste anche in acqua salata. La maggioranza dei garisti preferisce cambiare la vetta, sostituendola con cime in vetroresina con diverse potenze, innestate a baionetta sul sottovetta. Il sottoscritto, vuoi per l’uso molteplice tra acqua dolce e mare, vuoi per purezza alieutica, preferisce non forzare un attrezzo nato con la sua cima e destinato comunque ad una pesca con il piombo o con la corona. Le bolognesi estreme, dalla potenza superiore ai 25 grammi, sopperiscono ottimamente alle nostre esigenze, possono essere montate come teleregolabili purché l’operazione sia effettuata da personale specializzato che ben conosca le materie prime da utilizzare.
L’evoluzione della teleregolabile dal torrente al mare
Durante una mia vacanza a Villetta Barrea, sul fiume Sangro in Abruzzo, colsi l’occasione per muovere i primi passi verso l’utilizzo della teleregolabile. Non volevo farlo nel classico stile da trotaiolo, ma alla “my way” (parafrasando Sinatra), con un artigianale rodolon ed un bracciolo di 20/30 centimetri. Avevo il desiderio di sperimentare un metodo importato dal mare ed applicato all’ambiente dulciacquicolo. Il Sangro è un fiume appenninico con ristrette dimensioni nel suo corso iniziale, è simile ad un torrente e le trote mangiano spesso tra le buche costituite dai massi. Il loro comportamento è simile a quello dei pesci di mare, che “beccano” alla presentazione magica dell’esca proprio dinanzi alle loro fauci o comunque nei pressi, ingoiando voracemente tutto. Tra un masso e l’altro esploravo la buca, dapprima allungando la teleregolabile, poi accorciandola, sentendo le trote al tocco, con il filo tra le dita. La montatura era rozza, ma funzionale: prendeva spunto dal classico palamaro in vendita nei negozi, con piombo finale (la ballerina), trave, bracciolo ed amo singolo. In tre giorni di soggiorno misi a segno un nutrito cesto di trote, tutte con questa tecnica ibrida, rozza e improvvisata. Il metodo però garantiva estrema sensibilità sulla canna ed una naturalezza invidiabile. Tornato a casa cambiai teatro di gioco. Ero lungo la scogliera, alla ricerca di tordi, donzelle, saraghi sparaglioni, ghiozzi e bavose. I primi esperimenti dettero forza alle mie teorie, con pescetti di tutte le taglie catturati tra gli scogli, a volte quasi sorpresi di veder cadere dall’alto una succulenta esca davvero invitante.
Come pescare con la teleregolabile in buca
Siamo... o non siamo... dei trotaioli ed abbiamo acquistato una teleregolabile. Questo è un presupposto fondamentale. Scegliamo una scogliera extramurale che si allunga verso il mare aperto, comunque con una profondità superiore ai due metri. Apriamo la teleregolabile e sleghiamo la lenza dalla scaletta già pronta. Occorre settare l’attrezzo sulle prime due sezioni, vetta e sottovetta. Se è troppo corto, apriamo il primo blocco, allungandoci sul terzo pezzo. La lenza deve lavorare perpendicolarmente al fondo. Apriamo quindi l’archetto del mulinello e lanciamo a pendolo il trave o meglio ancora, appoggiamolo direttamente nella buca prescelta. Terremo la lenza tesa, con il filo tra le dita per avvertire le abboccate. Il pesce capita sempre sul più bello, costringendoci ad una ferrata fulminea, aspra e pronta, aiutati dalla rigidità della teleregolabile. Non si tratta di un metodo complesso, occorre farsi la mano ed imparare a sentire il pesce, per cogliere l’attimo fuggente che sta proprio a cavallo dell’istantanea piluccata dell’esca. Il saliscendi della lenza agevola le operazioni che vanno effettuate non più di 5 minuti nella stessa buca, con un andamento itinerante che ci porterà ad esplorare metri e metri di scogliera, più o meno come faremmo lungo il torrente.
La montatura
La semplicità gioca a nostro favore. In commercio esistono “palamari” già pronti, con due o tre ami. Scelgo sempre i modelli con due ami perchè pescare con tre ami è poco corretto e a volte addirittura illegale, a seconda delle circostanze e dei regolamenti. Se volessimo costruirla per conto nostro, la lenza seguirebbe uno schema molto elementare, con un trave che parte direttamente dalla lenza madre dello 0,25, un piombo a ballerina (o campana) da 20/30 grammi, un primo bracciolo di 15 centimetri dello 0,20 ed un secondo distanziato dal primo di 20 centimetri. In questo modo avremo due bocconi che lavorano a due differenti altezze, ma comunque molto ravvicinati tra di loro. Gli ami consigliati sono a gambo lungo del n° 10/12. Innescheremo pezzi di verme coreano, tranci di sarda, scampi, crostacei o pastella di pane e formaggio. Poiché tra le buche vi sono numerosi ostacoli sarà facile perdere ami e piombi, consiglio vivamente di portare sempre una buona riserva di lenze pronte per tutte le esigenze, valido escamotage per non dover perder tempo nel ricostruirle in loco ad ogni rottura.
L’ esigenza di cambiare
Abbiamo appena visto che la pesca da riva non è fatta solo di spigole, orate e cefali a tiro di bolognese. C’è qualcosa in più della mormora a ledgering, della salpa con l’erba e della boga all’inglese. C’è la pesca in buca, sconosciuta a molti appassionati di pesca in mare, ma in voga durante le competizioni nazionali con campioni come Mungai, Salvadori e Valvassura che sovente la utilizzano soprattutto nei difficili fine gara. Aprire gli orizzonti verso ciò che non ci è noto aumenta il nostro bagaglio alieutico. Per farlo occorre documentarsi, ingegnarsi e soprattutto non precluderci nulla. La pesca in buca con la teleregolabile fa conoscere al pescatore la bellezza del tocco, ormai dimenticato dai tanti affezionati del galleggiante. Spesso siamo pigri, poco desiderosi d’avventura. Ci piace pescare “già imparati”, con i metodi standard già provati da altri, senza dar spazio agli esperimenti. Il mare non è solo staticità. La mente deve spaziare tra pertugi inesplorati, fatti di profumi, colori e caratteri sconosciuti, dove vivono piccoli pesci, comunque capaci di donarci emozioni. Queste piccole prede a tiro di teleregolabile raccontano una storia che nella pesca amatoriale deve ancora nascere, fatta di umiltà e capacità di andare oltre una prospettiva scontata.