Come guadinare una carpa?
L’idea di un articolo tecnico sul guadinare un pesce di taglia vagheggiava da tempo nella mia mente, in occasione del risveglio tardo-invernale che porta tutti ad avvicinarsi alle acque interne. Domenica saremo al San Nazario di Poggio Imperiale, in molti potranno trovarsi dinanzi alla sorpresa dell’ Amur, una carpa erbivora. Cosa fare? Come guadinare una carpa da 2,3 o quattro chili? Domande che trovano una risposta nel nostro articolo. Un pescatore ormai maturo sa guadinare il pesce, attraverso un movimento coordinato di braccio destro (che mantiene la canna in mano) e braccio sinistro (che tiene saldo il guadino e lo appoggia alla superficie dell’acqua). Queste logiche sono un po’ complesse, non sempre ci si riesce in autonomia e l’aiuto del vicino si fa necessario. Posso confessare che la soddisfazione sta anche nel riuscire a guidare un pesce verso la nostra postazione, imponendogli di entrare nella testa del guadino senza che scappi e parte come un razzo verso il largo.
Stile rocambolesco
Le indicazioni che seguiranno nel testo sono frutto di uno stile che ho adottato negli anni, spesso criticato dai puristi della pesca, che però non ha mi deluso, né portato a rotture di guadini o canne da pesca. E’ proprio questo che serve, uno stile. Certamente la pesca sportiva è un’attività che richiede un modus operandi che si affina nel tempo. Quando si è principianti si avverte una sorta di difficoltà nel maneggiare canna e guadino, poi col tempo nascono le esigenze di gestire in autonomia il pesce, per velocizzare le operazioni di recupero. Occorre stare sempre calmi, concentrati e preparati per l’obiettivo finale. Perdere una tilapia o un cefalo da mezzo chilo può essere perdonabile, ma una carpa di 2/3 kg mina le possibilità di ottenere una soddisfacente uscita di pesca. I momenti critici sono sempre quelli finali, quando il pesce è a pochi metri da noi, con l’adrenalina che scorre violentemente nelle vene, portando il cervello su di giri. Qui si fa fondamentale l’azione coordinata del braccio destro, che terrà la canna puntata verso l’alto, con un angolo di filo veramente ridotto, quasi perpendicolare al terreno. La cima della canna riceverà la flessione massima, portando il pesce a risalire dall’acqua. In questo istante occorre poggiare la testa del guadino, attendere che il pesce segua la sua direzione, appoggiare eventualmente la canna sull’appoggio del paniere ( o tra le gambe), porre il piede sinistro sul fusto del guadino per evitare forti flessioni del grezzo e ritirarlo lentamente. Se il piede vi sembra troppo da “cafone” invito a tenere la testa del guadino in acqua e proseguire nel portare all’indietro il guadino, senza che vi siano possibilità di scampo per la carpa appena inguadinata. Mai tirare su il guadino con forza o in velocità! Il peso del pesce comprometterebbe la struttura, rischiando un bel “crac” come i tanti che se ne vedono tutte le domeniche nei primi due pezzi del guadino. La rottura avviene per due fattori, ovvero il peso della carpa e la resistenza dell’acqua alla maglia del guadino. Se la maglia è larga, impone meno attrito, viceversa con la maglia fitta si avvertirà una maggiore difficoltà.
Le fasi di recupero
Possiamo distinguere l fasi della cattura in tre momenti fondamentali: sconfinamento, pompaggio, arrivo. Durante ognuna di queste fasi la carpa si comporta in modo differente a seconda dell’ambiente in cui vive, seguendo l’abitudine del pescatore. C’è una differenza fondamentale tra le carpe pescate in un carpodromo ( quasi come il San Nazario) ed un lago naturale o artificiale. Le prime sono abituate ai combattimenti, sanno che saranno rilasciate, quindi combattono strenuamente solo alla fine, quando si avvicinano al pescatore. Le carpe in laghi più ampi e quasi naturali come le nostre dighe Pugliesi e Lucane, riscontrano un comportamento più aggressivo perché spesso non conoscono nemmeno cosa sia la sensazione di puntura all’amo. Nel caso descritto in foto, il pesce parte vero l’esterno e sprigiona una forza inaudita. Il pompaggio va effettuato in modo laterale, verso destra o sinistra a canna bassa. In tanti sbagliano, forzando il pesce con al canna alta, commettendo un errore imperdonabile. Se dovessimo tirare il pesce con un movimento laterale eviteremmo una sua fuga verso l’esterno, con il monofilo ad un margine angolare minore rispetto a ciò che avviene con la cima rivolta in alto. Quando la carpa è a meno di 15 metri e presenta i primi segni di cedimento possiamo alzare la canna, portarla in alto e prendere con la mano sinistra il guadino, facendolo scorrere in acqua e fermandolo sul braccio. Qui si nota la vera tecnica del pescatore, colui che riesce a portare a se’ il pesce con il filo che resta in bando tra la punta della canna ed il pesce. Dobbiamo alzare il braccio destro verso l’alto, eliminando i margini di movimento del pesce che potrà incontrare improvvisi ostacoli sommersi nel sottoriva; al tempo stesso c’è da coordinarsi con il braccio sinistro che dovrà fungere quasi da pala meccanica perché solleverà il guadino nel momento in cui il pesce entra nella testa a cucchiaio. Abbassiamoci e sediamoci sul panchetto, calando di tensione sempre con la canna alta. Il gioco è fatto, ce l’abbiamo nel sacco!
Non solo carpe ma spigole e cefali
La tecnica per guadinare una carpa può essere applicata con successo ad altri pesci, come spigole o cefali. E' da evitare una seduta rialzata rispetto alla superficie dell’acqua, con un angolo superiore ai 30°. Se dovessimo sostare sulla scogliera bassa non dovremmo assolutamente cambiare il nostro stile. In caso di scogliera rocciosa piuttosto alta, con un dislivello di alcuni metri, le indicazioni sostenute nel testo andranno riviste con un guadino più lungo ed un’angolo di filo maggiore. Non abbiate fretta, fate stancare il pesce ed attendete il suo sfinimento, altrimenti... addio pesca!!!