Pesca del cefalo al tocco
Nel mare magnum di tecniche con le quali si può insidiare il cefalo, la pesca al tocco ricopre un ruolo particolare, quasi d’avanguardia, poiché nel corso del tempo si è evoluta a tal punto che è passata dall’essere uno dei metodi più semplici per veicolare l’esca in acqua a una tecnica quasi settoriale, relegata all’agonismo, portavoce di specifiche esigenze. Per comprendere al meglio la pesca al tocco, dunque, è bene fare una breve introduzione.
L’ origine e l’evoluzione: pesca del cefalo al tocco
Tra le tante cose che un pescatore ha sicuramente visto in vita sua, non manca di certo il vecchio lupo di mare, seduto sulla seggiola, intento a pescare lungo la parete della banchina portuale; una corta canna telescopica tra le mani, una montatura alquanto rudimentale composta da un piccolo piombo e un terminale a due-tre ami e come esca la pastella. La pesca al tocco, specie quella in parete, nasce essenzialmente così; una tecnica semplice ma efficace, perché permette di sondare tutta la colonna d’acqua, filo a piombo, rimanendo vicino alla murata della banchina per sfruttare il nutrimento presente in natura. Il punto di svolta si ha con l’avvento dell’agonismo. Spesso il mondo delle gare è una fucina d’idee, poiché si va alla ricerca di approcci sempre più tecnici ed efficaci per migliorare i risultati (in poche parole, per prendere più pesci); le nuove necessità si traducono in nuovi approcci e questi ultimi portano a un progresso a livello di materiale e minuteria (si pensi alle tecnosfere, giusto per fare un esempio).
La pesca al tocco rivolta al cefalo, nello specifico, nasce dall’esigenza di presentare l’esca in un certo modo, diverso dalla classica presentazione del fiocco di pane con la bolognese. La domanda che sorge spontanea è: “Perché?”. Se ci avete mai fatto caso, a volte i cefali, specie in scogliera, pur essendo presenti nello spot di pesca, non sono interessati alle esche fluttuanti presentate con la più classica delle tecniche, la bolognese; in queste situazioni, i cefali spesso nuotano a ridosso degli scogli, attratti maggiormente da ciò che si nasconde tra le alghe, come piccoli gamberetti, altri crostacei o perfino l’alga stessa. La stessa cosa succede lungo le pareti delle banchine. Non è raro assistere a questo fenomeno che si manifesta generalmente con i cefali che strusciano il corpo sugli scogli, alzando i sedimenti nutritivi che si erano ivi depositati; ciò che si vede sono le classiche “specchiate” dei cefali. Questo è il momento adatto per sfoderare la pesca al tocco. Dall’introduzione ormai è chiaro che gli spot sono i più classici per la pesca al cefalo: le scogliere e le banchine portuali, due ambienti nei quali questo pesce è ben presente e dove si può mettere in pratica la pesca al tocco in due modi diversi, rispettivamente quella classica a ridosso del primo o secondo gradino di scogli e quella in parete dalla banchina.
Attrezzatura per pescare i cefali al tocco
Per i puristi della tecnica, la canna da pesca al tocco per antonomasia è la teleregolabile, cioè una canna telescopica in cui ogni pezzo presenta un blocco per pescare alla distanza desiderata, anche più corta rispetto alla lunghezza complessiva della canna. Le misure più comuni per questo tipo di pesca sono la sette metri e la dieci metri: la prima, più corta, ha i blocchi che si possono chiudere fino ad avere tra le mani una canna da tre-quattro metri, risulta quindi perfetta per sondare tutta la parete delle banchine e soprattutto pratica per non stare troppo distante da essa; la seconda, più lunga, permette di affrontare sottopunta i gradini più profondi della scogliera fino ai primi appena sotto il pelo dell’acqua, chiudendo qualche sezione. In genere le teleregolabili hanno la vetta a innesto, intercambiabile, in modo da pescare con la grammatura e sensibilità migliore caso per caso.
Dato il carattere settoriale della pesca al tocco, le teleregolabili al giorno d’oggi non sono tante in commercio e soprattutto hanno prezzi spesso molto elevati, per questo motivo il pescatore curioso e desideroso di provare questa tecnica può utilizzare, a seconda che voglia provare dalla scogliera o in parete, bolognesi più o meno lunghe (generalmente da cinque, sette o nove metri) o anche canne fisse (si consigliano misure lunghe, quindi otto, nove o dieci metri). Nel caso in cui si voglia utilizzare una bolognese, si può pensare di sostituire la vetta originale della canna con una a innesto fatta su misura; in commercio ci sono vette in carbonio o in fibra che soddisfano ogni esigenza a riguardo e con una spesa abbastanza ridotta (nell’ordine di una decina-ventina di euro) si riesce ad avere una vetta dedicata alla pesca al tocco, senza rischiare di rompere quella originale. Non è necessario, ma può valere la pena.
Esche e pasture
Nella pesca al tocco, l’esca riveste un ruolo fondamentale, poiché si differenzia dal classico fiocco di pane usato a bolognese. Tenendo a mente quanto detto prima sul comportamento che adotta il cefalo in determinate situazioni e su cosa va alla ricerca a livello di nutrimento, le esche migliori sono il polmone di cozza (quella piccola e sottile membrana posta sulla parete delle valve della cozza), la polpa di gambero e piccoli anellidi come la tremolina. A livello di pastura, invece, un classico sfarinato, come la “fondo cefalo” al formaggio o una “cefalo bianca”, è più che sufficiente ad attirare i cefali sullo spot.
La montatura
Lo schema base della montatura per la pesca al tocco è quello del paternoster a doppio bracciolo e piombo in testa che si utilizza anche nel bolentino; si può fare eventualmente con un solo bracciolo al posto di due. Per quanto riguarda le lunghezze da seguire, ci sono due varianti:
- lenza corta: trave da cinquanta centimetri e braccioli da quindici centimetri;
- lenza lunga: trave da novanta centimetri e braccioli da trenta centimetri.
La scelta della lunghezza dei braccioli dipende dal luogo di pesca, dalla conformità del fondale, dall’attività dei pesci. In ogni caso non si deve eccedere con la lunghezza dei braccioli, pena la tardiva o mancata ricezione della mangiata. Il range dei diametri con i quali si realizza il trave è 0,16-0,20 millimetri e quello dei braccioli 0,11-0,14 millimetri. La tipologia di ami che si consiglia è il crystal, misure dal numero 14 al 10; regge bene l’esca e presenta un gambo lungo che, in caso di incontri con occhiate di taglia, salpe o boghe (non così infrequenti quando il target è il cefalo), fornisce qualche millimetro in più di acciaio che mette al riparo il terminale dai denti di questi pesci.
Per realizzare la montatura si possono utilizzare, al posto dei nodi tra braccioli e trave, le famose tecnosfere o altre tipologie di sganci rapidi di piccole dimensioni, fermati sul trave tra due perline fissate con una goccia di colla cianoacrilica. Questo metodo, ormai collaudato da anni, di derivazione agonistica, oltre a essere molto pulito rispetto ai nodi, permette di avere i braccioli liberi di muoversi su più fronti, il che evita che si attorciglino e che si rovinino. A completare il tutto, un piombo la cui grammatura varia sulla base della corrente e del posto di pesca.
Azione di pesca
Nella pesca al tocco essenzialmente si pesca sotto punta della canna, quindi la lenza è, come si dice, “filo a piombo”, cioè perpendicolare al fondo; può essere lievemente obliqua, ma difficilmente si eseguiranno veri e propri lanci, poiché si snaturerebbe l’essenza di questa tecnica.
- nel caso in cui si decida di pescare in scogliera, l’azione di pesca si svolge prevalentemente sul fondo, calando la lenza fino a far toccare al piombo gli scogli e tenendo lievemente in tensione il filo; così facendo, i braccioli si stenderanno a favore di corrente e saranno giusti in pesca, il primo a sfiorare gli scogli, mentre quello più in alto appena staccato da essi. La abboccata si percepisce attraverso la vetta, per questo motivo deve essere sensibile per cogliere la mangiata del cefalo o di qualsiasi altro pesce. Si pesca esattamente sopra pastura ed eventualmente si sondano i vari gradini di scogli alle diverse profondità;
- nel caso in cui, invece, si peschi in parete, l’azione di pesca è differente. Spesso le banchine presentano delle rientranze a profondità variabili, alcune sono perfino cave; per questo motivo si pesca anche staccati dal fondo, alla profondità in cui si pensa che transitino i pesci. Non è raro vedere cefali sbucare da sotto la banchina, magari a mezz’acqua, proprio perché le pareti presentano rientranze. Pescando sotto punta, quindi, si possono sondare anche profondità diverse rispetto al fondo; tutto dipende da dove stazionano i pesci. In quest’ultimo caso è bene utilizzare una pastura a grana fine, che lavori su tutta la colonna d’acqua.
Non resta che provare e sperimentare questa tecnica di pesca, forse un po’ dimenticata e relegata al mondo dell’agonismo ma che invece torna utile anche a noi pescatori per diletto, in quei momenti in cui i cefali sono apatici o esigono approcci particolari.