Qualche anno fa alla cascina Pichetta di Cameri (mio paese natale) ad un convegno del Parco del Ticino sentii per la prima volta parlare un esponente del CIRF, di cui in verità neppure conoscevo l’esistenza, e ne fui favorevolmente impressionato.
Il CIRF (Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale) è un'associazione culturale tecnico-scientifica senza fini di lucro fondata nel luglio 1999 da un gruppo di tecnici di diversa estrazione disciplinare e professionale per lo scopo che ben si deduce dal nome.
Si possono associare varie forme giuridiche come persone singole, associazioni, comuni ecc ecc.
Se contiamo che nemmeno il 10% dei vari corsi d’acqua è ancora allo stato selvaggio e che solo il 37% delle acque è considerato buono ecco che appare evidente che riqualificare i nostri fiumi e torrenti diventi essenziale anche per far vivere bene i pesci.
Il sito è molto esaustivo e completo ed invito i lettori alla visita ma cercherò di fare domande che interessano ai più.
Quali sono le figure professionali che operano nel CIRF?
Le professionalità degli associati CIRF coprono un po' tutti i campi (ingegneri, biologi, naturalisti, funzionari pubblici e liberi professionisti, ricercatori, studenti...) , risulta difficile fare una lista esaustiva; lo stesso si può dire per il gruppo di persone che svolge un ruolo più operativo all’interno dell’associazione (direzione, segreteria tecnica, referenti regionali in primis). Si tratta perlopiù di persone già professionalmente impegnate su tematiche ambientali legate ai corsi d’acqua, accomunate da una grande passione per i fiumi e dal desiderio di confronto, aggiornamento e sviluppo comune delle numerose ed interessanti tematiche collegate a questo tema. E soprattutto si tratta di persone disposte a dedicare tante energie per cercare di ottenere fiumi più in salute!
E’ esatto dire che Voi proponete un compromesso fra l’uomo e la natura che sia accettabile da entrambi?
Sicuramente sì, come del resto emerge dalla definizione stessa di “Riqualificazione Fluviale” che l’Associazione ha elaborato: "l'insieme integrato e sinergico di azioni e tecniche, di tipo anche molto diverso (dal giuridico-amministrativo-finanziario, allo strutturale), volte a portare un corso d'acqua, con il territorio ad esso più strettamente connesso ("sistema fluviale"), in uno stato più naturale possibile, capace di espletare le sue caratteristiche funzioni ecosistemiche (geomorfologiche, fisico-chimiche e biologiche) e dotato di maggior valore ambientale, cercando di soddisfare nel contempo anche gli obiettivi socio-economici".
Come facile intuire uno dei problemi maggiore è fissare i confini di questo “compromesso” che fino ad oggi, come emerge dall’analisi dello stato dei nostri corsi d’acqua, è stato decisamente sbilanciato verso le esigenze umane di immediata rilevanza economica, sacrificando pesantemente gli ecosistemi acquatici. Per fortuna oggi un forte supporto normativo ci viene in aiuto da diverse direttive europee, prima di tutte la “Direttiva Quadro sulle Acque” (2000/60/CE) che impone il raggiungimento di obiettivi di qualità elevati e chiaramente definiti per la maggior parte dei corsi d’acqua ma che, proprio nell’ottica del compromesso, permette anche di “accontentarsi” di condizioni ambientali più scadenti laddove venga dimostrato che sarebbe troppo oneroso ridurre gli impatti legati alle attività antropiche. Questa valutazione, però, richiede un'analisi economica esplicita e di lungo periodo, che valuti gli impatti a scala di bacino su tutti i soggetti interessati (ad esempio spostare o rimuovere un argine o una difesa spondale può danneggiare localmente il proprietario dei terreni, ma creare molti benefici, anche economici, a valle; ridurre i prelievi idrici in un tratto fluviale può danneggiare gli utenti locali, ma va valutato di quanto e in quali scenari, e questo va confrontato con benefici economici e ambientali a valle; e così via...).
Purtroppo in questo ambito, di fondamentale importanza per capire quale sia il compromesso uomo-natura che ci possiamo permettere, è stato fatto ancora troppo poco.
I Vs interventi più importanti quali sono stati?
L’Associazione è di fatto una rete che ha come scopo principale quello di sviluppare, divulgare e diffondere le conoscenze connesse alla riqualificazione fluviale. Per questo da sempre ha agito principalmente a due livelli: da un lato la messa a punto di metodologie e la partecipazione diretta a studi e progetti innovativi e con elevata valenza dimostrativa, dall’altro la divulgazione di esperienze di altri ritenute coerenti e utili al miglioramento dei nostri fiumi. Nel concreto l’attività associativa si traduce quindi nell’organizzazione di corsi, convegni, workshop, nella realizzazione di studi, piani e progetti legati alla riqualificazione dei corsi d'acqua e nella produzione e diffusione di materiale informativo e divulgativo.
Tra le esperienze più significative c'è sicuramente la realizzazione “corale” del libro “La riqualificazione Fluviale in Italia”, dove di fatto chiariamo cosa a nostro avviso si debba intendere per “riqualificazione fluviale” e come si possa realizzare. Un impegno davvero imponente e un momento di crescita e maturazione per le tantissime persone che vi hanno collaborato. Più di recente, l’organizzazione, in collaborazione con l’ECRR (la rete Europea dei Centri di Riqualificazione Fluviale) della “IV Conferenza Internazionale sulla riqualificazione fluviale”, con contributi da tutto il mondo e, nel 2009, l’organizzazione del I° Convegno Italiano sulla Riqualificazione Fluviale con un successo davvero ampio in termini di partecipazione, contenuti e interesse suscitato.
Abbiamo poi realizzato diversi studi e proposte di riqualificazione significativi. Purtroppo quello che oggi ancora manca in Italia, al contrario di altri Paesi, è la realizzazione di un intervento di riqualificazione fluviale a scala ampia, di forte impatto, che possa essere visitato da cittadini, funzionari e decisori politici in modo da toccare con mano cosa significhi migliorare un ecosistema fluviale e spingere a riprodurlo altrove. Il CIRF sta facendo il possibile perché questo si realizzi presto, ma è necessario che tutti i cittadini che hanno a cuore i fiumi (e i pescatori sono sicuramente tra questi) si facciano sentire con forza.
Cosa ne pensate degli interventi che si fanno sui corsi d’ acqua dopo le alluvioni? Io sono rimasto allibito da muraglioni verticali alti 3 metri fatti a quasi 2000 metri in Valle D’ Aosta che deturpano anche il paesaggio oltre ad essere inutili e dannosi.
Anche se ogni caso va analizzato a sé, sul tema degli interventi di artificializzazione dei corsi d’acqua, la posizione da sempre assunta dall’associazione è chiara: se ne fanno troppi e spesso senza un'adeguata valutazione dei costi e dei benefici (sia economici che ambientali) e senza una vera ricerca di soluzioni alternative. Se pure possano risolvere in certe situazioni dei problemi localizzati, nel loro complesso spesso aumentano il rischio trasferendolo generalmente a valle. I numeri parlano chiaro: nonostante un numero imponente di opere di artificializzazione di ogni genere e su qualunque tipologia di corso d’acqua i danni alluvionali sono in costante aumento. La strategia da perseguire è quella di puntare ad una più equilibrata convivenza con i corsi d’acqua, rinunciando ad occupare quasi integralmente le aree di loro pertinenza, restituire spazio ai fiumi per compiere le loro dinamiche, ridurre il numero di interventi di artificializzazione, che hanno costi di realizzazione e di mantenimento enormi e che sono oggi di gran lunga il principale impatto non solo visivo ma soprattutto ecologico per i nostri fiumi. Ma anche qui serve maggiore consapevolezza e pressione sui nostri amministratori da parte dei cittadini, che spesso sono i primi a chiedere “più opere”.
Quali sono le difficoltà che incontra in genere la riqualificazione fluviale rispetto ad altri progetti più invasivi; Il costo dell’opera, la poca conoscenza da parte delle amministrazione o che altro?
Il principale ostacolo è sicuramente di natura culturale; la vecchia logica interventista figlia dell’ingegneria idraulica tradizionale è ancora oggi prevalente: si continuano a considerare i corsi d’acqua come un elemento assolutamente statico da relegare in uno spazio ristretto e fisso e da gestire e sfruttare a nostro piacimento. Si continua a pensare che maggiore artificializzazione significhi necessariamente maggiore sicurezza e si continua ad ignorare che un corso d’acqua che sta meglio fornisce anche più servizi ambientali. Basta la presenza di un po’ di vegetazione in alveo per suscitare nell’opinione pubblica un senso di incuria e una richiesta di “pulizia” del corso d’acqua, nella completa ignoranza del ruolo e dell’importanza di quell’elemento.
Vi è poi un problema di scala spaziale e temporale: i vantaggi di un intervento si vedono spesso a una scala ampia e dopo un tempo che può essere lungo. Spesso la politica vuole risultati visibili e “spendibili” in tempi brevi... Per lasciare più spazio ai fiumi, soprattutto in un paese come il nostro, ad alta densità abitativa e dove scelleratamente si sono privatizzati buona parte dei territori di pertinenza fluviale, ci si trova a dover risolvere conflitti con i singoli proprietari.
In quanto al tema della sostenibilità dei costi, esso costituisce spesso un grande ostacolo, soprattutto in considerazione del fatto che quasi mai vengono condotte valutazioni costi/benefici serie e su scale temporali adeguate. I costi sono comunque paragonabili a quanto spendiamo in opere infrastrutturali...quindi alla fine torniamo al problema culturale, che è quello prevalente.
Nel resto degli stati paragonabili al nostro come si agisce? Ho avuto modo di pescare molte volte in Carinzia e la situazione mi è sembrata nettamente migliore….
Difficile trovare un paese paragonabile all'Italia oggi, da molti punti di vista... Battute a parte, sebbene nessuno abbia stravolto da un giorno all'altro il modo di gestire i fiumi, in molti altri Paesi (europei e non) c'è molta più consapevolezza dei problemi e dei possibili vantaggi di cambiare approccio, sia da parte dei cittadini che degli amministratori pubblici, e il rispetto delle direttive europee è stato più puntuale. In Germania, Austria, Francia, Gran Bretagna, per citarne alcuni, da più di un decennio si realizzano interventi di rinaturazione. Lo slogan “diamo più spazio ai fiumi” ha portato a significativi progetti pilota in molti paesi soprattutto del Centro Europa. Ma anche in Spagna, paese più culturalmente vicino al nostro e che ha corsi d'acqua estremamente impattati, negli ultimi anni si sta facendo molto più che in Italia.
Depuratori o parecchie volte bisognerebbe chiamarli “Sterilizzatori”? E funzionano?
I depuratori convenzionali generalmente funzionano se sono alimentati da carichi costanti e se sono soggetti ad adeguata manutenzione. In quest’ottica la politica recente in tema di depurazione ha previsto la dismissione dei piccoli depuratori (difficili da manutentore e con elevati costi di gestione), ed il collettamento e trattamento degli scarichi in grandi depuratori centralizzati. Questo, in molti casi, ha contribuito paradossalmente a peggiorare ulteriormente la qualità delle acque dei nostri corsi d’acqua. L’immissione di grossi scarichi, se pure trattati, in tratti fluviali con portate ridotte rispetto all’entità dello scarico ha infatti degli impatti devastanti sul corso d’acqua e molto superiori a quelli che deriverebbero dall’immissione più distribuita di scarichi di dimensioni più compatibili con quelle del corso d’acqua. Non va infatti dimenticato che rimanendo all’interno di certe soglie i corsi d’acqua hanno ampio margine di recupero della qualità delle acque grazie ai processi biochimici che avvengono al loro interno.
Il tema della qualità delle acque va però di pari passo con quello della quantità: è evidente che gli effetti degli inquinanti che immettiamo nei corsi d’acqua vengono ampliati dalla fortissima riduzione delle portate dei fiumi a seguito dei prelievi ad uso antropico, che hanno raggiunto livelli assolutamente insostenibili.
Solo considerando questi due aspetti è possibile provare a comprendere come sia possibile che a fronte delle enormi spese sostenute negli ultimi decenni per il collettamento ed il trattamento dei reflui (che in molte realtà italiane è superiore al 90%), non si sia registrato un netto miglioramento della qualità delle acque nei nostri corsi d’acqua.
Come è la posizione del CIRF rispetto ai pesci alloctoni e in particolare al famoso Siluro?
Le popolazioni ittiche oggi presenti nei nostri corsi d’acqua sono il frutto delle caratteristiche ambientali complessive del fiume ma anche dei massicci interventi di immissioni e prelievi realizzati dall’uomo, non solo di recente, ma già nei secoli passati. Dal confronto con gli ittiologi emerge un quadro molto preoccupante, con il continuo rinvenimento di nuove specie provenienti da altri contesti geozoografici, che trovandosi a competere con le specie originarie in ambienti spesso stressati e artificializzati, tendono a prevalere. La posizione del CIRF, pur nella consapevolezza che in molti casi è probabilmente già stato superato il punto di non ritorno, è quella di cercare di arginare il più possibile questo fenomeno favorendo le specie autoctone anche attraverso un miglioramento complessivo delle condizioni dei nostri corsi d’acqua. Il Siluro, come noto, merita un’attenzione ancora maggiore vista la sua “straordinarietà” in termini di impatto nei confronti delle altre specie, ma trovare soluzioni percorribili è spesso estremamente difficile, a parte quella, appunto, di cercare di riportare i fiumi a condizioni fisicamente più naturali, ricostruendo così habitat che favoriscano le specie autoctone. Su questo tema va ovviamente sottolineato quanto sia fondamentale il ruolo e la responsabilità dei pescatori.
Io e Damiano, ricordando che il CIRF ha anche una rivista, scaricabile gratuitamente, da http://www.blogger.com/www.cirf.org/ita ... vista.html.
Ringraziamo vivamente sperando che la riqualificazione fluviale prenda sempre più piede sia come idea ma soprattutto come pratica.