Cefali a ledgering e method feeder

Quest’estate ho trascorso le ferie tra casa, pesca e fotografia. Avevo voglia di rilassarmi e godere pienamente della bellezza del mare, alla riscoperta dei valori di una pesca genuina ormai scomparsi nel mondo alieutico contemporaneo. Giornalmente ho scelto di pescare all’antica, come facevo anni fa. Sono un po’ nostalgico delle glorie del passato, quando il pesce c’era e non dovevi ingegnarti più di tanto per cacciarlo fuori. Mi mancano i pezzi grossi, quelli da chilo e passa che si vedevano anche passeggiando sulle banchine portuali. Il presente è totalmente avaro di emozioni. Premetto che non è stata una bella estate per noi pescatori: la penuria ittica della terra di Bari sta dando il colpo di grazia ad un settore in declino. Pesci “grossi” non se ne vedono. La grave situazione ambientali di depuratori non funzionanti (Molfetta, Bisceglie), schiume sospette (Bisceglie, Trani), alga tossica (Barletta, Molfetta, Bari, parte del Salento), lavori di costruzione del nuovo (Molfetta, Bisceglie, Polignano) contribuiscono a far sparire il pesce dalle coste, obbligandolo a migrare verso il largo. Se a tutto ciò aggiungiamo la persistente attività dei serra, che sbranano, violentano e stuprano poveri cefali, spigole e occhiate indifese…beh, il dado è tratto!



Nel marasma collettivo è nato il desiderio di feeder in mare con il nobile obiettivo dal nome “orata”! Purtroppo, anziché le orate, ho beccato cefali, quindi ho reimpostato la battuta di pesca dirottandola sul mio pesce preferito senza cadute di stile, bensì sperimentando il method feeder in mare. Da qui è nata la scelta di parlarvene apertamente, senza se e senza ma, perché la pesca è una disciplina dove gli esperimenti sono il pane quotidiano di una dieta estrosa a base di idee. Vi mostrerò due metodi di pesca al cefalo. Il primo è un classico, che già conoscete, ma prevede l’impiego di pasturatori block end più ricercati (e costosi) del solito siluretto verde coi buchi. Successivamente scoprirete la pesca a method feeder; nata in acque interne per la cattura di grosse carpe, può dare buoni risultati anche in mare col cefalo. Soprattutto credo rappresenti un metodo più raffinato della “pesca al cefalo con la mazzetta”, assolutamente anti-sportivo e di squallido gusto, che punta a prendere il pesce dal corpo, dalla coda, dalla testa, persino dal punto in cui non batte mai il sole!



Ledgering classico in mare

Apriamo le danze imboccando l’autostrada a tre corsie del ledgering. Tre corsie? Si, perché tre sono le principali varianti: pasturatori classici in plastica (block-end e open-end feeder), gabbiette (cage feeder) e method. Il ledgering classico è una tecnica d’importazione dulciacquicola. Il merito va a Mario Molinari che l’ha introdotta in Italia e Sabino Civita che l’ha esposta in modo professionale sulle riviste di settore. Non in ultimo, un plauso a Michele Moscati (in arte Mikymos), campione italiano di pesca a ledgering per le sue perle mensili sulla rivista I Segreti dei Pescatori. In mare, purtroppo, ne parlano in pochi e quindi vorrei accaparrarmi il merito di essere in quella nicchia che lo pratica con buoni risultati, insidiando pesci come orate, cefali e, talvolta, spigole. Per ledgering classico intendo la pesca standardizzata con pasturatore a forma cilindrica o saponetta da 10 a 28 grammi(vedi foto), lasciato aperto o chiuso per favorire o bloccare l’uscita delle larve. Da sinistra a destra, ecco a voi la produzione Fox e Drennan a forma differente. La prima cade sul fondo rotolandovi mentre la seconda ci si piazza con la piastrina di piombo, quindi è più stabile in condizioni di media corrente. Useremo canne leggere da 3,60m / 3,90 metri con cime molto morbide da 1 oncia – 28 grammi, che favoriscono l’individuazione delle tocche anche in presenza di pasturatori leggeri. Monteremo sui mulinelli di taglia 2500/3000 un buon monofilo dello 0,18 specialistico, che resita a ripetuti lanci e combattimenti prolungati.



Pesca a method feeder in mare

Il method feeder è un’evoluzione della pesca a ledgering. Punta alla cattura di grosse carpe con un funzionamento molto semplice. Si comprime l’esca all’interno di una palla di pastura, che sarà lanciata a distanza con pasturatore specifico. Il pesce si avvicinerà al letto di pastura e, incuriosito, comincerà a mangiare. Succhierà anche l’esca restandovi allamato. In poche parole, è questa la base del method feeder. A mio avviso, può essere praticato anche in mare con ottimi risultati. Se ne parla molto poco per diversi motivi: è più complesso da praticare perché il pescatore deve saper impastare un brumeggio friabile e morbido, deve comprare stampino e pasturatori da method davvero introvabili nei negozi che non trattano l’acqua dolce. C’è un’altra componente di cui nessuno parla. La spigola e l’orata sono predatori quindi aggrediscono l’esca che fluttua liberamente nell’acqua, mentre col method feeder si pratica una pesca dove l’esca è nascosta all’interno di una palla di pastura che si scioglie sul fondo. Anche se usassimo una pastura a base di farina di pesce (le orate ne sono particolarmente ghiotte) i risultati sarebbero molto scarsi e conquisteremmo solo grosse boghe, cefali e qualche altro pesce grufulatore. La dinamica di pastura al formaggio e bigattino pare più affabile per l’onnivoro cefalo, che è più abituato a cibarsi degli scarti alimentari depositati sul fondo.



Come pescare il cefalo a ledgering con pasturatore block-end

Sceglieremo pasturatori con fondo e testa chiusa (block end feeder) a forma di cilindro o saponetta. Monteremo sulla lenza madre un anti-tangle, un gommino parastrappi ed una perlina. Costruiamo un terminale di almeno 70 cm (max 100-120 cm) dello 0,12-0,14 e colleghiamolo al trave mediante una girella a barilotto. Solitamente uso ami a gambo corto del n° 14/16 con un innesco di 3 bigattini a bandiera. Vorrei spendere due parole sul terminale. La moda dei forum e le “spinte” commerciali di alcune aziende hanno generato parecchia confusione sulla vera utilità del fluorocarbon. Ricordo che un trave in fluorocarbonio ha un grado di rifrazione pressoché identico a quello dell’acqua ma è più rigido e meno resistente. Un monofilo in nylon è più visibile, più elastico e più resistente. Dopo 4/5 metri in acqua c’è solo buio e luce molto scarsa. Se peschiamo su profondità pari a 8/10/12 metri (come me nell’articolo), la spesa del fluorocarbon pare assolutamente inutile. E’ più un gesto dettato dalla moda che da reali necessità. Viceversa, operando su sabbia e acqua chiara o fondali entro i 5 metri, il fluorocarbon ha una sua logica.



Come pescare il cefalo a ledgering col method feeder

I miei sono puri e semplici tentativi sperimentali nel basso Adriatico. Ovviamente, in altri contesti, i risultati potrebbero essere diametralmente opposti. Detto questo, veniamo alla pesca col method feeder. Prima di tutto, montiamo sulla lenza un method da 15 grammi small della Preston (come in foto) collegandovi un terminale da 10/15 cm dello 0,20 con un amo del 14 a gambo corto. Inneschiamo due o tre bigattini. Prendiamo lo stampino Preston Small e posizioniamo l’esca sul fondo. Cospargiamo il fondo di pastura (vedi foto) che coprirà il ciuffo di bigattini. Infiliamo il method nello stampino. Premiamo con le dita sul piombo del method. Giriamo lo stampino e clicchiamo sul pulsante Push. Il gioco è fatto! Avremo ottenuto una formina eccellente di pastura da cefalo che sarà pronta per entrare in guerra. Aggiungo un dettaglio molto importante: in caso di abboccata non dovete ferrare! Lasciate che il cefalo parta per il largo. La ferrata, specie se violenta, rischia di spezzare il corto terminale, lasciandovi a bocca asciutta.



Giudizio finale

Entrambi i metodi di pesca vanno nella direzione del miglioramento personale. Sono il frutto di uno sguardo introspettivo messo a punto in un momento in cui cerco di vagliare possibili alternative al trio classico di bolognese-inglese e canna fissa. Non nascondo che, se pescherete col primo sistema, potrebbero capitare anche orate e spigole perché il funzionamento è identico. Nel secondo caso, pescando col method feeder, rischiate il cappotto non per la poca efficacia del sistema ma per la novità assoluta, che richiede ancora del tempo per essere praticata degnamente, studiata e approfondita.

Marco de Biase

Marco de Biase

Direttore di Pescanet e di Pescare in Trentino. Classe 1983, vive da diversi anni nel Nord Italia occupandosi di marketing digitale. Dopo una lunga esperienza nelle acque pugliesi dell'Adriatico, frequenta da tempo gli spot del Trentino, Veneto e Lombardia. È un pescatore umile, sempre disposto a documentarsi e amante delle sfide. Comunica attraverso la scrittura, la fotografia e i social network seguiti da più di ventimila followers. È inoltre autore di due romanzi d'amore e pesca, oltre ad essere poliedrico collaboratore di riviste cartacee, aziende e blog di settore.

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